RACCONTAMI QUANDO QUANDO QUANDO...
Nuova rubrica del nostro sito

by Alessandro Steinhart
martedì 09 febbraio 2016
Oggi inauguriamo una nuova rubrica del nostro sito che si chiamerà "Raccontami quando quando quando..." e sarà pubblicata sempre al martedì.
Il nostro collaboratore Alessandro Steinhart, ogni settimana, ci racconterà una storia, più o meno famosa, legata al mondo della pallacanestro, perché nel basket ci sono storie che non tutti conoscono, ci sono storie che sembrano favole e semplicemente perchè di basket, non c'è sempre e solo quello che succede in campo.

Oggi partiamo con la storia di Jimmy Butler, giocatore dei Chicago Bulls, prossimo All Star, che però non è stato un predestinato come Jordan, Kobe o Lebron, anzi...




Raccontami quando, quando, quando... Quando un senzatetto è diventato un stella dell'All Star Game


Jimmy Butler è attualmente uno dei leader degli Chicago Bulls, sicuramente ne è il giocatore più mediatico insieme a Derrick Rose. Per la fredda cronaca, se vi piacciono i numeri, è il miglior realizzatore della squadra con 22,4 punti media, secondo per assist (4,3) e primo per recuperi (1,7) ad allacciata.
Nella stagione 2014-2015 è stato convocato per la prima volta all'All Star Game, e a fine stagione ha vinto il MIP (Most Improved Player), premio che viene conferito al giocatore più migliorato rispetto alla stagione precedente, grazie a 20 punti di media a partita.
Non male per un giocatore che nelle stagioni precedenti era solo considerato uno specialista difensivo, tanto da essere inserito nel "NBA second all-defensive team".

La sua infanzia, come in verità quella di molti giocatori per cui il professionismo rappresenta una via di salvezza da condizioni precarie, non è proprio quella che si può definire: felice.
Tuttavia Butler non è uno che cerca la compassione delle persone, anzi al giornalista di ESPN Chad Ford che l'ha intervistato ha fatto una richiesta specifica: "So che pubblicherai la mia storia. L’unica cosa che ti chiedo è di non scriverla in maniera tale che le persone si sentano in colpa e provino compassione per me. Non lo sopporto, non c’è niente di cui dispiacersi. Queste difficoltà mi hanno reso l’uomo che sono".

Il piccolo Jimmy è cresciuto in un sobborgo di Houston. Il padre lo ha abbandonato prima della nascita e la madre lo ha cacciato di casa a 13 anni con una motivazione molto valida: "Non mi piace l'espressione della tua faccia, vattene".
Per 4 anni l'adolescente Butler conduce una vita quanto meno instabile: dorme parzialmente a casa di amici, ma anche in dormitori per senzatetto o all'aperto nei prati.
Ok l'amore per la natura, ma probabilmente avrebbe preferito esprimerla in altra maniera.
Tuttavia ogni storia a lieto fine ha il suo turning point, e questa lo è; per Butler arriva a 17 anni, sotto forma di un ragazzino di nome Jordan Leslie, con il quale svilupperà negli anni successivi un rapporto fraterno.
I due si conoscono su un playground come migliaia negli Stati Uniti: un pezzo di terreno perso nell'infinita e desolata periferia americana, asfalto, caldo, sudore e un pallone rimbalzante.
Si sfidano, e ovviamente vince Jimmy che è immensamente più talentuoso del suo nuovo amico, che però, lo prende in simpatia nonostante le sonore sconfitte, e lo invita a casa sua.
Dopo aver conosciuto la sua storia, la madre di Jordan, Michelle Lambert, si convince ad ospitare il ragazzo per qualche notte.
Il tempo passa e Jimmy diventa di famiglia: non lascerà più quella casa, rimanendo legato a quella donna che lo ha accolto dalla strada per tutta la vita.

Nonostante il talento mostrato alla High School, nessun college gli offre una borsa di studio, ma d'altro canto, non tutto è chiaro fin dall'inizio se è vero il concetto di "connecting the dots" jobsiano; così Butler si deve far notare in un college minore il Junior College a Tyler.
Dopo diverse prestazioni clamorose viene nominato All American e finalmente ha gli occhi di tutte le migliori università addosso.
Grazie anche ai consigli della sua nuova madre, Michelle, il futuro giocatore di Chicago, sceglie di andare a Marquette (già alma mater di Dwayne Wade) dove è garantita una buona preparazione accademica, oltre ad un buon programma di basket.
Dopo tre anni a Marquette, è finalmente il momento del draft.

Butler, nonostante le ottime prestazioni ottenute negli invitational pre-draft, non è certo della chiamata tra i primi 30 giocatori, quelli con un contratto garantito.
Sono proprio i Bulls ad avere a disposizione l'ultima scelta del primo giro e, come nei migliori racconti, il successo arriva quando tutto sembra perduto. Il commissioner David Stern pronuncia le seguenti parole "Con la trentesima scelta i Chicago Bulls scelgono: Jimmy Butler da Marquette".
Ancora nessuno lo sa, ma sarà uno dei migliori pick di quel draft, risultando secondo molti esperti lo "Steal of the draft".

L'adattamento all'NBA è complicato per Butler, i cui numeri però sono in crescita stagione dopo stagione, fino al momento della consacrazione: convocazione all'All Star Game e MIP. Ma per uno cresciuto praticamente da solo non è abbastanza e l'anno successivo, precisamente il 3 gennaio del 2016 contro i Toronto Raptors, firma il suo primo prestigioso record segnando 40 punti.
Si... ma non a fine partita (saranno 42 quelli finali)... nel solo secondo tempo!!! Battendo così il record di franchigia per punti fatti in un solo tempo che era di un certo Jordan Jeffrey Michael.

A proposito di Jordan, c'è una curiosità che lega Butler e il giocatore icona dei Bulls (e non solo): Butler è sponsorizzato "Air Jordan".
Certo questa non che sia una grande notizia, è vero.
La curiosità è che Butler aveva firmato un contratto con l'Adidas, ad inizio carriera, ma un frequente dolore a caviglia e piede, lo ha portato a rescindere il contratto con la casa tedesca, per preferire quella dell'Oregon.
Ora Butler non ha più problemi e ai suoi piedi porta sempre delle Air Jordan di diverso modello, quasi ad ogni partita, anche se lo "switch brand affiliations" gli è costato un taglio dello stipendio del 75%. Non poco, ma cosa non si fa per la comodità...

Ora Jimmy è la stella più luminosa della Windy City che, quando soffia il vento (sempre) ha un cielo costellato di stelle.
Non male per uno venuto letteralmente dalla strada.
Per chi indossa una maglia rossa e nera nell'NBA, la domanda rimane sempre la stessa, un fardello a volte pesante: "sarà lui a raccogliere l'eredità del 23 e a portare i Bulls al loro settimo titolo?"
Ma potrà questo essere un problema rilevante per Butler?
Noi crediamo di no.



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